L'evoluzione dei criteri di idoneità e adeguatezza delle cappe chimiche
Oggi più che mai le cappe chimiche stanno vivendo un momento di transizione. Questi strumenti, essenziali per la salvaguardia della salute e della sicurezza degli operatori impegnati nei laboratori in cui sussiste rischio chimico, sono al centro di un dibattito mirato a migliorarne la gestione in qualità aumentando la protezione dei lavoratori. In questo articolo si presenterà un breve excursus sulle attività di normazione
L. Strada (Struttura di Raccordo del Servizio di Prevenzione e Protezione - Università di Pavia) - Ascca News 1/2022
Il D.Lgs 81/08, cd testo unico sulla sicurezza, pone in capo al datore di lavoro una serie di adempimenti, tra i quali la messa a disposizione dei lavoratori di attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza e idonee al tipo di utilizzo previsto; inoltre, devono essere garantite, per tali attrezzature, regolare manutenzione e verifica periodica del rispetto dei requisiti. Infine, nella gerarchia degli interventi si chiede al datore di lavoro di dare priorità ai dispositivi di protezione collettiva (T.U., Titolo II, capo I, art. 64, Titolo III, Capo I, 70, 71 e allegati V e VI e Titolo IX, capo I, art. 225).
Le cappe chimiche sono i dispositivi di protezione collettiva utilizzati nei laboratori, o più in generale negli ambienti di lavoro, al fine di ridurre la potenziale esposizione a sostanze chimiche dei lavoratori. Storicamente, fin dalla pubblicazione del manuale Sax’s “Dangerous Properties of Industrial Materials”, 10th Edition edito negli anni ’50, considerato una pietra miliare per coloro che dovevano fare una valutazione del rischio da esposizione alle sostanze chimiche, si è fatto riferimento al parametro della velocità frontale per valutare la prestazione di una cappa. Oggi, però, il riferimento a tale parametro appare anacronistico.
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